12 giugno 2013

Un post che fila

Qui non superava nessuno oh.
Nella nostra vita di tutti i giorni è rimasto solo un indicatore di civiltà. Uno e insostituibile: la fila.
La fila è democratica, tutti sono allo stesso livello, tutti hanno le stesse possibilità, tutti seguono un unica regola: chi arriva per primo sta davanti. La fila non è obbligatoria: se sorpassi uno al supermercato nessuno ti arresta, non ci sono multe, nessuna sanzione. Nada de nada. La fila è spontanea, quasi sempre. Potresti ammassarti, non lo fai, ti metti in fila.


Per questo, frequentando gli aeroporti con discreta continuità, sono così insofferente con chi non la rispetta. Le compagnie low cost, troppo convenienti per non ricevere la mia preferenza 9 volte su 10 (e anche la decima, ma vuoi mai...), ti costringono a vivere la fila, perché il bagaglio a mano se ci sta, ci sta, se non ci sta va in stiva. E io ci tengo il portatile, che gradirei ritrovare intero al mio arrivo, perché sono fatto così, eccedo in pignoleria, io. Per cui fila, sempre.

È per questa sua importanza intrinseca che tralascio alcuni comportamenti ricorrenti dei tipi da aeroporto (che comunque meriterebbero ben altro spazio) e mi focalizzo sulla fila e sui soggetti di diversa umanità che provano ad eluderla in ambito aeroportuale, classificandoli, non per quello che sono, ma per il ruolo che ricoprono nel loro diabolico disegno elusorio:

La sanno fare anche loro, porco cane.
L'ignorante. Per definizione ignora e dunque ignora anche la fila, o perlomeno ne ignora la fine. "Ah non inizia qui ma 400 metri più indietro? Mica mi ero accorto! Quella curvatura di 2 gradi nella disposizione delle persone mi ha tratto in inganno. Buono a sapersi signora!" Ma non si sposta. Buono a sapersi cosa, se poi non te ne torni in fondo? Non ti ha mica detto che domani c'è sciopero dei mezzi, porco di quel cavolo.

Il giovane. Vabbè, devo spiegare perché si chiama così? Spero di no. Si? Ok, perché è sempre giovane. Ride, scherza, veste calzoncini, maglietta di dubbio spirito e felpina adidas. A volte un cappello, paglietta se siete sfortunati. Ha le infradito e questo definisce già la questione con sufficiente chiarezza (non ricordo se il congresso di Vienna o la carta di Treviso, sanciva in maniera incontrovertibile, per tutta l'umanità, l'assoluta disprezzabilità dell'essere umano che gira in infradito in ambienti che non sono: una spiaggia, una doccia, una sauna... non lo dico eh, prendetevela col trattato di Maastricht). Non è solo, sono minimo in 3. La tecnica è mista ma di solito si buttano nel punto della fila perpendicolare all'uscita del bar. Se corrisponde alla coda cambiano bar.

L'indisponente. Questo non è un ruolo, non è una farsa, non finge, è proprio così. Si piazza nel punto della fila in cui ritiene abbai diritto di stare. È un calcolo complesso, badate, che comprende una serie di variabili, di cui solo poche conosciute: età media della fila (stima rapida), età del candidato elusore, peso corporeo degli attendenti più prossimi, circonferenza dei bicipiti degli stessi, titoli di studio (stima rapida, don't ask, è così e basta), livello di abbronzatura (misurato secondo la scala internazionale, che va da zero a carlo conti ad agosto). Si piazza nel punto scelto e non fa nulla per non farlo notare.

Il distratto. Guarda per aria, sembra non capire dove è capitato. Non trova la fila, ci inciampa per caso e ci si ferma rigorosamente da metà. Una volta penetrato, continua ad apparire distratto finché la fila non scorre, non può abbandonare la copertura, è circondato, deve dissimulare finché le acque non si calmano e la gente si dimentica di lui (ma non io, bastardo, non io).

Il paziente. Non è paziente in quanto malato, ma in quanto attendista e calcolatore. Affianca la fila senza mischiarsi, la studia, ne valuta i punti deboli, poi li colpisce, tipo Ken Shiro con i punti di pressione, solo che la fila non esplode dopo 10 secondi, forse perchè è tipo Sauzer (3 punti nerd a chi apprezza). L'inserimento di norma avviene in maniera graduale, passa per una tangente alla fila, inclinata di 4 gradi. La distanza esatta da cui partire, per incontrare la fila nel preciso punto che si era individuato quale "debole" è una questione di precisione infinita, che se fosse dirottata, che ne so, verso lo studio della fisica nucleare, Enrico Fermi gli faceva una sega a due mani.

Soluzioni auspicabili ai problemi delle file. Dove mando il CV?
Quello che odio di più. Il gruppo. È una categoria collettiva. Si tratta di una comitiva, il numero fa la forza, ma soprattutto crea confusione. Approfittano della cagnara creata dalla loro chiassosità e dai movimenti disordinati, per introdursi in un punto a caso della fila, basta che non sia la coda. Si avvantaggiano del fatto che, se solo un paio di loro ce la fanno, automaticamente passeranno tutti, prima o poi. "Devo dare la sciarpa a mio marito". A Luglio. "Fausto assaggia la peperonata così la finiamo e si chiude la valigia!". Alle 8 del mattino. "Samy! Guarda cosa mi ha scritto Fabbry su uozap!". Li odio di più perchè sono di più.

Ecco, se ne incontrate uno, mandatelo affancoolo da parte mia.


P.S.
che poi alla fine andiamo tutti sul quel cacchio di pulmino.


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